<<Undici gladiatori…80.000 imperatori…>>. Così ritmava un celebre passo di una delle canzoni celebrative dello Scudetto del 2001. Per una notte – inaspettata ma cercata ardentemente – la squadra di Di Francesco mette l’abito ‘eternale’ della città, che rinuncia a dormire per fermare il tempo, consapevole comunque che momenti del genere, a tali latitudini, dureranno probabilmente per sempre.
IMMANENTE E MAI DECADENTE – C’è tanto ‘romanismo‘ già nell’aria che si respira fuori lo Stadio Olimpico nelle ore del pre-gara. Un pizzico dell’arroganza “Rugantina”, la consapevolezza del probabile ennesimo “non-succede-ma-se-succede”, il caotico rendersi conto tardivamente del treno in arrivo (per una volta ndr) sul binario corretto. Sì, perchè la Roma di Di Francesco è una locomotiva sbuffante e mai schizofrenica, macchina meccanicamente oliata dalle delusioni e contemporaneamente corda di violino emotivamente stuzzicata da 60.000 anime impazzite in cerca di redenzione, dopo decenni d’oblio parzialmente immeritato. E’ una di quelle notti romane da “Grande Bellezza”, con temperatura mite, inconfondibile profumo di primavera ed indefinito venticello fresco, i quali dicono ai naviganti di prenderla sul serio, ma nemmeno troppo.
TATTICA BAROCCA – Vogliamo convincerci di questo: indeciso sul come annichilire il Barcellona di un Messi marziano nonchè incattivito dalla rifioritura della coltura CR7, Eusebio Di Francesco ha optato per la “partita totale contro il calcio totale”. La Roma è profonda e concreta, allarga il fronte d’attacco e lo strappa con tocchi di prima, decisi perchè sospinti e calibrati ad ogni rimbalzo del pallone da un pubblico da subito rapito, immediatamente protagonista, intestardito da lustri vissuti a far da sparring-partner su tutti i palcoscenici europei. I 60.000 imperatori sanno che la Roma non ha mai subìto gol in casa con la “musichetta” e quando s’accorgono che il Barça di Messi non tira e non fa possesso, senza cucire nè ricamare, credono a ragion veduta che spingere comunque gli 11 gladiatori verso il leone sia una pratica alla loro portata. Avranno ragione loro. Juan Jesus difende da italiano e Schick dribbla di suola da carioca, la Città Eterna se ne accorge e chiede ai suoi idoli pagani un fuoco di paglia per fare divampare fiamme da inferno dantesco. La scintilla Dzeko accende la Bolgia di un girone ad ora sconosciuto nella Divina Commedia giallorossa: quello dei Redenti.
FAVOLOSA VENDETTA – Certo che Pallotta deve essersi preso un bel rischio ad invitare a pranzo Sir Alex Ferguson nell’undecennale della caduta più fragorosa della storia romanista in Champions: Il 7-1 di Manchester del 10 aprile 2008. I corsi e ricorsi storici che però faranno giurisprudenza nella “Notte (della) Magica” sono quelli di De Rossi Daniele da Roma e di Manolas Kostas da Naxos, due che non segnano spessissimo e che giusto sei giorni prima avevano insaccato con poche colpe la propria porta. In un crescendo rossiniano dove i 60.000 imperatori vomitano incessantemente amore e sostegno indefesso sul rettangolo verde, i rintocchi giungono improvvisi e ferali per le speranze azulgrana.
FIGLI DEL TEMPO – Il rigore più importante della storia recente della Roma lo tira un romanista a tutto tondo nella buona e nella cattiva sorte. Daniele De Rossi da Roma, inversamente a quanto prodotto nella Finale del Mondiale del 2006, quando la sfrontatezza ventiduenne propose la bomba ad incrociare sotto il ‘sette’, opta per un esperto ed infallibile piattone. Risparmiamo altre ovvietà sia sulle qualità umane che calcistiche del ragazzo, vestitosi oramai da anni con un impermeabile di passione, tanto spesso da ammutolire le nenie metropolitane che tutti a queste latitudini conoscono fin troppo bene.
Kostas Manolas da Naxos chiude invece un cerchio tutto suo. Secondo ricostruzioni autorevoli, pare che il detto “piantare in asso” derivi dalla mitologia greca. Arianna, dopo aver aiutato col celeberrimo filo l’eroe ateniese Teseo a sconfiggere il Minotauro e ad uscire dal labirinto di Cnosso, fuggì con gli ateniesi, ma fu da Teseo abbandonata proprio sull’isola di Nasso (Naxos ndr). Ebbene, cosa s’avvicina di più a quanto prodotto dal monolitico Kostas nella travagliata passata estate di calciomercato? Manolas ha ripudiato sull’altare la ricca sposa Russa che risponde al nome dello Zenit, scegliendo di restare a Roma almeno un altro anno. La storia è ciclica e si ripete, l’Impero Romano che sublima l’ingegno e la fulgida logica greca…
Manolas rifiuta lo Zenit. Qui la News di Forzaroma.info
FIGLIO MIO, IO C’ERO – Cosa resterà? Tanto, probabilmente tutto. Saranno in 300.000 almeno tra dieci anni a fregiarsi della presenza allo stadio. Saranno parecchi i nuovi papà che – con impennata demografica da qui a nove mesi esatti o giù di lì – sceglieranno ogni volta un dettaglio diverso per raccontare più e più volte ai pargoli quanto visto e vissuto. La Roma ed i romanisti si riprendono “tutto il cucuzzaro” in una volta sola, scuotendo in maniera Capitale l’Italia calcistica ferita dagli insuccessi e dall’onta del forfait Mondiale. I pianti a dirotto di chiunque avesse a cuore la questione non produrranno tante lacrime quante ne servono per tappare le buche fisiche e morali della Città e del nostro calcio, è vero. Ma “sono le 22:30 di martedì 10 Aprile 2018, la Roma è in Semifinale. Mai qualificazione fu più meritata”. Per oggi, basta così. Anzi James, forse no...
A.S.
